qualche giorno fà ho effettuato l’aggiornameno all’ultima versione disponibile di wordpress
purtroppo nonostante che l’aggiornamento sia andato a buon fine stò riscontrando qualche difficoltà con l’integrazione del tema in uso, mi scuso per il disagio e spero di risolvere il tutto al più presto.
25 anni dopo, Akira torna al cinema per restituire ai fan un’esperienza visiva e sonora eccezionale grazie ad un nuovo remix multicanale | audio PCM Surround 5.1.
Akira è una pietra miliare nella storia dell’animazione: fonde elementi di 2001: Odissea nello spazio, I guerrieri della notte, Blade Runner e Il pianeta proibito ed è annoverato da Wired tra i 20 migliori film di science fiction di tutti i tempi assieme Blade Runner, Gattaca e Matrix. Il manga originale Akira è stato pubblicato sulla rivista “Young Magazine” a partire dal dicembre 1982. Il suo stile sofisticato, minuzioso e stimolante ottenne subito il consenso della critica diventando in breve tempo un bestseller. Sei anni dopo arrivò il film che coinvolse 1.300 animatori provenienti da 50 diversi studi di animazione e uscì in sala il 16 luglio 1988, quando ormai la popolarità del manga aveva raggiunto il suo apice.
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Manuale per la lettura e la comprensione del giapponese nei manga.
Come si legge il giapponese transliterato in caratteri latini?Prima di tutto, per transliterazione si intende la rappresentazione in caratteri latini della pronuncia delle parole, modo utilizzato anche dai giapponesi che lo chiamano romanji.
La trasliterazione, per non portare a confusione, segue alcune regole piuttosto semplici in modo che la lettura della pronuncia diventi il più naturale possibile. In linea di massima la parola transliterata si legge come in italiano (possono cambiare alcuni accenti), ci sono però alcune sillabe che seguono regole diverse da quelle della nostra lingua, questa piccola guida utilizza la transliterazione Hepburn (la più utilizzata ed anche la più semplice da leggere). Ecco le più importanti regole di lettura: La sillaba ch+ (cha, che, chi, cho, chu) si legge come fosse ci+ (cia, cie, ci, cio ,ciu). La sillaba h+, che in italiano non esiste, si legge con l’h aspirata (dando l’accento sulla vocale). Il dittongo “ou” si legge come una o allungata (viene usata anche la scrittura “oo”). Viene usato raramente il dittongo “ei” per rappresentare una “e” con suono prolungato.
La sillaba ts+ si legge come la z+ (p.e. tazza).
La sillaba z+ si legge sempre come ds+ (p.e. zaino) e non come ts+ (p.e. tazza). La sillaba sh+ si legge come sci+. La sillaba s+ si legge sempre con la s di seta. Due particelle del discorso giapponese “wa” e “wo” (la transliterazione più correta è “o”), la loro pronuncia è modificata come fossero “ha” e “o”.
La vocale “u” è molto debole, spesso non viene nemmeno pronunciata, ma nei pochi casi in cui la si deve leggere il suo suono è molto simile a quello della u gutturale (la “u” di alcuni dialetti italiani). La consonante “n” è sempre nasale e il suo suono è debole. Dizionario delle parole manga/anime anime, pronuncia: animè
Animated Video, viene usato per indicare tutti i cartoni animati giapponesi.
Si scrive anche: anime’. –chansuffisso, equivale al diminutivo vezzeggiativo italiano. Si usa con il nome di persone o di animaletti a cui si tiene. Doujinshifanfiction sono le storie, scritte da appassionati, che prendono spunto da serie manga già famose.fansubsono le videocassette con dialoghi originali, ma con i sottotitoli inseriti da appassionati nel loro tempo libero e senza scopo di lucro. Infatti queste produzioni sono solo oggetto di scambio.
Furigana piccolo testo in hiragana scritto sopra agli ideogrammi in kanji, descrivendone la pronuncia, viene inserito per scopi didattici in modo da facilitare la lettura ai bambini. (ma come ben sappiamo aiuta molto anche noi poveri occidentali!) hentai eroticoI manga a sfondo erotico/sessuale, però senza scendere nel pornografico. idolgiovane promettente nel mondo dello spettacolo che viene aiutato a diventare famoso da una casa discografica solo per pochi anni e poi abbandonato a se stesso. Finiti gli anni del successo , vengono quasi sempre dimenticati.
Mangasono i fumetti giapponesi. Letteralmente significa: parola divertente (ridicola) mangaka disegnatore di manga mecha
qualsiasi mezzo o attrezzatura tecnologica OAV/OVA Original Animated Video, sono dei film di animazione prodotti esclusivamente per il mercato casalingo. Otakusignifica “fan sfegatato”. Lo si può usare per indicare gli appassionati di qualsiasi genere.
In giapponese il termine ha un valore negativo, mentre i fan non-giapponesi se ne appropriano come fosse un simbolo di onore.
La parola “otaku” in origine significava “la casa altrui” e veniva usato per indicare la gente.
-san suffisso, signore/a (più familiare di -sama)
-sama suffisso, signore/a (più onorifico di -san)
-seiyuu doppiatore Curiosità: in Giappone i doppiatori dei personaggi di anime sono molto famosi, pubblicano dischi e fanno concerti.
sensei maestro o professore, è un suffisso di riverenza e rispetto. Sentai d’azione, si usa per indicare tutte le storie d’azione in cui i personaggi principali sono eroi mascherati o personaggi che combattono usando le arti marziali. Senpai anziano E’ un appellativo di rispetto usato dagli studenti giovani per rivolgersi a quelli degli anni superiori. shojo [shoojo, shoujo] per ragazze, di solito nella frase “shoojo manga”, che significa “manga per ragazze”. Indica un genere di produzioni, che per i contenuti è particolarmente adatto ad un pubblico amante delle storie romantiche.
In
questa pagina mi propongo di specificare una serie di nozioni
elementari di giapponese;
non mi aspetto assolutamente di insegnare la lingua a qualcuno (tanto
più che io comunque non so il giapponese…), ma semplicemente intendofornire
una serie di nozioni, frasi fatte e termini vari a puro scopo di
curiosità.
Allora
cominciamo:
Saluti
Voce
giapponese
Pronuncia
Significato
Note
Ohayou
ohaiò
Ciao,
buon giorno
Più
o meno si usa fino alle 10 di mattino
Konnichi
wa
conicì-uà
Ciao,
buon giorno,
buon pomeriggio
Si
usa più o meno dalle 10 alle 18
Konban
wa
conban-uà
Buona
sera
Si
usa dopo le 18
Oyasumi
nasai
oiàsumì-nasaì
Buona
notte
Il
suffissonasai rende il saluto informale
Irasshai
irasciaì
Benvenuto
.
Okaeri
ocaerì
Bentornato
.
Dawa
mata
dauà-matà
A
presto
.
Suguni
mata
s-günì-matà
A
dopo
.
Sayounara
sayònara
Arrivederci,
ciao
.
Mata
aimashou
matà-aimasciò
Ci
vediamo
.
N.B.
Per la pronuncia, la “R” giapponese corrisponde a una via di mezzo fra
le nostre “L” e “R”.
L’ideologia della cultura Internet dell’open source (ciò in cui gli hacker dicono di credere) è un argomento di per sé già abbastanza complesso. Tutti i membri sono d’accordo sul fatto che l’open source (cioè software liberamente ridistribuibile e che può essere prontamente sviluppato e modificato per rispondere ad esigenze sempre diverse) è una cosa buona e meritevole di un significativo sforzo collettivo. Questo accordo definisce efficacemente l’appartenenza alla cultura. Tuttavia, le ragioni che gli individui e varie subculture adducono per questa credenza variano notevolmente. Una dimensione lungo la quale gli hacker si differenziano è il fanatismo: se lo sviluppo di software open source venga considerato semplicemente un mezzo valido per uno scopo (buoni strumenti, giocattoli divertenti ed un gioco interessante da giocare) o un fine a se stesso. Una persona con un alto grado di fanatismo potrebbe dire: “Il software free è la mia vita! Io esisto per creare begli, utili programmi e risorse di informazione, e poi regalarli”. Una persona moderatamente fanatica potrebbe dire: “L’open source è una cosa buona e sono disposto ad offrire molto tempo per contribuire a crearla”. Una persona con un basso grado di fanatismo potrebbe dire: “Sì, l’open source è ok, a volte. Ci gioco e rispetto la gente che lo produce”.
Un’altra dimensione di differenziazione è l’ostilità verso il software commerciale e/o verso le società percepite come dominanti nel mercato del software commerciale. Una persona molto anticommerciale potrebbe dire: “Il software commerciale è furto e avidità. Io scrivo software free per porre fine a questo male”. Una persona moderatamente anticommerciale potrebbe dire: “Il software commerciale in generale è ok perché i programmatori meritano di essere pagati, ma le società che prosperano con prodotti scadenti e approfittano delle loro grandi dimensioni sono cattive”. Una persona priva di spirito anticommerciale potrebbe dire: “Il software commerciale è ok, solo che io uso e/o scrivo software open source perché mi piace di più”.
Tutti e nove gli atteggiamenti dati dalle combinazioni di queste categorie sono rappresentati nella cultura open source. Il motivo per cui vale la pena di sottolineare le differenze è che essi implicano diverse opinioni sulle cose da fare, e comportamenti di adattamento e di cooperazione diversi. Storicamente, la parte più visibile e meglio organizzata della cultura hacker è stata sia molto fanatica, sia molto anticommerciale. La Free Software Foundation fondata da Richard M. Stallman ha sostenuto una gran parte dello sviluppo di software open source a partire dai primi Anni ’80, compresi strumenti come Emacs e GCC che sono tuttora fondamentali per il mondo dell’open source, e che sembra che rimarranno tali anche per il prossimo futuro.
Per molti anni la FSF è stato il più importante centro di sviluppo di software open source, producendo un gran numero di strumenti che sono ancora essenziali per la cultura hacker. La FSF è stata per lungo tempo anche l’unica sostenitrice dell’open source con una identità istituzionale visibile anche da osservatori esterni alla cultura hacker. Ha definito efficacemente il termine “free software” dandogli deliberatamente una valenza polemica (che la nuova etichetta “open source” evita altrettanto deliberatamente).
Perciò, le percezioni della cultura hacker sia all’interno che all’esterno tendevano ad identificarla con l’atteggiamento fanatico della FSF ed i suoi scopi, visti come anticommerciali (RMS nega di essere anticommerciale, ma il suo programma è stato interpretato così da moltissima gente, inclusi molti dei suoi partigiani più attivi). La spinta vigorosa ed esplicita della FSF a “distruggere l’avidità del software!” diventò la cosa più vicina ad una ideologia hacker, e RMS la cosa più vicina ad un leader della cultura hacker.
La licenza della FSF, la “General Public Licence” (GPL) esprime l’atteggiamento della FSF. E’ molto largamente adottata nel mondo dell’open source. Il Sunsite della North Carolina è il più grande ed il più popolare archivio di software nel mondo Linux. Nel luglio 1997 circa la metà dei pacchetti presenti in Sunsite che avevano licenze esplicite usava la GPL. Ma la FSF non è mai stata l’unico attore sulla scena. C’era sempre, nella cultura hacker, una corrente più tranquilla, meno polemica e più ben disposta verso il mercato. I pragmatici non erano tanto leali ad un’ideologia quanto ad un gruppo di tradizioni ingegneristiche fondate su vecchi lavori open source che avevano preceduto la FSF. Queste tradizioni includevano, soprattutto, le culture tecniche interconnesse di Unix e dell’Internet precommerciale.
Il tipico atteggiamento pragmatico è solo moderatamente anticommerciale, ed il suo problema principale con il mondo delle società commerciali non è “l’avidità” di per sé. Piuttosto è il perverso rifiuto di quel mondo di adottare degli approcci tecnicamente superiori incorporando Unix, standard “open” e software open source. Se il pr
Si può dare inizio alla cultura hacker così come la si conosce nel 1961, l’anno in cui il Mit (Massachusset Institute of Technology) acquisì il primo PDP-1: la macchina si elevò al rango di loro gioco tecnologico favorito e invento tools di programmazione. Ma soprattutto nacque una cultura associativa di cui si trovano ancora oggi numerose tracce. Pare che si debba alla cultura informatica del Mit il primo utilizzo della parola “hacker”. Gli hacker del TMRC (MIT Tech Model Railroad Club) hanno formato il nucleo del Laboratorio di intelligenza artificiale (IA), motore mondiale di ricerca in materia all’inizio degli Anni Ottanta. Ma la loro influenza si è già diffusa a partire dal 1969, anno di nascita di Arpanet.
Arpanet era il prototipo di computer collegati a livello intercontinentale. Era stato costruito dal ministero della difesa americano per sperimentare comunicazioni numeriche, ma è stato trasformato, per effetto dell’interesse di determinate università, in collegamento per laboratori di ricerca. Ma Arpanet ha avuto ugualmente un altro effetto. Le sue autostrade elettroniche hanno riunito gli hacker degli Stati Uniti in una massa critica: invece di rimanere relegati in gruppi isolati sviluppando culture proprie ma effimere, si sono scoperti (o reinventati) una “tribù di ricerca”.
Nascono così i primi artefatti intenzionali della cultura hacker: le prime liste, le prime satire, le prime prime discussioni etiche. Circolarono tutte su Arpanet nei suoi primi anni. In particolare, la prima versione del Jargon File nacque dalla collaborazione incrociata in rete tra il ’73 e il ’75. Era un dizionario di slang informatico che diventò un documento della cultura hacker in fieri. Fu successivamente pubblicato con il titolo di “New hacker’s Dictionary”. Dal punto di vista culturale, il laboratorio IA del Mit fu solo il primo alla fine degli Anni Sessanta. Ma seguirono a ruota l’università di Stanford (SAIL) e la Carnegie-Mellon (CMU), che hanno giocato un ruolo ad alto livello. Tutti e tre erano centri fiorenti per l’informatica e la ricerca in materia di intelligenza artificiale. E tutti e tre attirarono persone brillanti che hanno dato un contributo determinante alla cultura hacker sia dal punto di vista tecnico che folkloristico.
Per comprendere meglio, tuttavia, occorre esaminare più da vicino i calcolatori stessi. Dopo l’epoca del PDP-1, il destino della cultura hacker si era legata ad una serie di mini-calcolatori DPD della società Digital Equipment Corporation. Si deve alla stessa DEC l’apertura della via all’informatica interattiva commerciale. Le loro macchine erano semplici, potenti e relativamente a buon mercato considerando l’epoca. Numerose università se le procurarono tanto che Arpanet, per la maggior parte della sua esistenza, era costituita principalmente da macchine DEC. La più importante di queste macchine era il PDP-10, che uscì nel 1967 e che resto il computer preferito degli hacker per una quindicina d’anni: si ricordano ancora il TOPS-10, il suo sistema operativo, e la MACRO-10, il suo linguaggio.
Il Mit, pur utilizzando il PDP-10, ha scelto una via leggermente differente: ha rifiutato completamente la logica che la DEC proponeva per il PDP-10 per preferirle un proprio sistema operativo, il leggendario ITS (Incompatible Timesharing System). Volevano lavorare a modo proprio. ITS, capriccioso, eccentrico e spesso (quando non sempre) bogué, affermava tutta una serie di innovazioni tecniche brillanti. Era scritto in assembler, ma molti progetti relativi a ITS erano invece nel linguaggio di LISP. Il LISP era più potente e semplice di altri linguaggi contemporanei. Tanto che si utilizza ancora oggi: Emacs è probabilmente l’esempio meglio conosciuto.
Lasciando un attimo il Mit, si vede anche che SAIL E CMU erano molto attivi. Molti attivi hacker del Sail che hanno contribuito all’evoluzione di PDP-10 sono diventati più tardi eminenti personalità nel mondo dei personal computer e dell’interfaccia grafica. Gli hacker del CMU, invece, lavoravabo su quelle che diventeranno le prime applicazioni pratiche su grande scala di sistemi avanzati e di robotica industriale.
Anche il Xerox PARC, il celebre centro di ricerca di Palo Alto, ha avuto un ruolo importante nella cultura hacker. Nel corso di dieci anni, dall’inizio degli Anni Settanta, il PARC a introdotto innovazioni rivoluzionarie, sia a livello di materiali che di logica. E là che le moderne interfacce, fatte di finestre e icone, sono state messe a punto. Ed è sempre là che è stata inventata la stampante laser e la rete LAN. Le macchine PARC della serie D lasciarono presagire, con dieci anni di anticipo, l’avvento dei personal computer negli Anni Ottanta. La cultura di Arpanet e del PDP-10 si sono rafforzati e diversificati durante tutto il corso degli Anni Settanta. Le liste di diffusione per “corriere” elettronico, riservate fino a quel momento a gruppi che condividevano interessi particolari, cominciarono ad essere utilizzate da ambienti sociali più ampi. La lista a carattere “sociale” più diffusa su Arpanet era forse la “Sf-lovers” sulla fantascienza. La lista è ancora viva oggi su Internet. Questa e molte altre hanno aperto la via ad uno stile di comunicazione che sarà successivamente commercializzato da società come CompuServe, Genie e Prodigy
Chi è un hacker?
Il Jargon File contiene alcune definizioni del termine ‘hacker’, la maggior parte delle quali hanno a che fare con l’esperienza tecnica e il gusto di risolvere problemi e di superare i limiti. Se vuoi sapere come diventare un hacker, tuttavia, solo due sono effettivamente rilevanti.
C’è una comunità, una cultura comune, di programmatori esperti e di maghi delle reti che affonda le radici della sua storia decenni addietro, ai tempi dei primi minicomputer e dei primi esperimenti su ARPAnet. I membri di questa cultura stanno all’origine del termine ‘hacker’. Gli hacker hanno costruito internet. Gli hackers hanno reso il sistema operativo UNIX quello che è oggi. Gli hacker mandano avanti Usenet. Gli hacker hanno fatto funzionare il World Wide Web. Se fai parte di questa cultura, se hai contribuito ad essa e altre persone della medesima ti conoscono e ti chiamano hacker, allora sei un hacker.
La forma mentis dell’hacker non è ristretta all’ambito del software-hacking. Ci sono persone che mantengono un atteggiamento da hacker anche in altri campi, come l’elettronica o la musica – davvero, lo puoi trovare ai livelli più alti di qualsiasi scienza od arte. I software-hacker riconoscono questi spiriti affini ovunque e chiamano anche loro ‘hacker’ – e qualcuno afferma che lo spirito hacker è totalmente indipendente dal particolare media in cui l’hacker lavora. Ma nel resto di questo documento ci concentreremo sulle capacità e gli atteggiamenti del software hacker, e le tradizioni della cultura comune che ha dato origine al termine ‘hacker’.
C’è un altro gruppo di persone che si strillano a gran voce di essere hacker, ma non lo sono. Queste sono persone (per la stragrande maggioranza ragazzi adolescenti) che si divertono a entrare (generalmente in maniera illegale) negli altrui computer e a phreakkare le compagnie telefoniche. I veri hacker chiamano questa gente ‘cracker’, e non vogliono avere nulla a che fare con loro. I veri hacker pensano che i cracker siano pigri, irresponsabili, e non molto brillanti, e obbiettano che essere capaci di neutralizzare i sistemi di sicurezza non ti rende un hacker più di quanto far partire un’automobile cortocircuitando i cavi della chiave ti renda un ingegnere elettronico. Sfortunatamente molti giornalisti e scrittori si sono ingannati nell’usare la parola ‘hackers’ per descrivere i cracker; questo irrita incredibilmente i veri hacker.
La differenza fondamentale è questa: gli hacker costruiscono le cose, i cracker le rompono. Se vuoi essere un hacker continua a leggere. Se vuoi essere un cracker, vai a leggere il newsgroup alt.2600 e tieniti pronto a scornarti col fatto che non sei furbo quanto credi. E questo è tutto quello che avevo intenzione di dire sui cracker.
L’atteggiamento dell’hacker
Gli hacker risolvono i problemi e costruiscono le cose, credono nella libertà e nel mutuo aiuto volontario. Per essere accettato come un hacker, ti devi comportare come se avessi questo atteggiamento nel sangue. E per comportarti come se avessi questo atteggiamento nel sangue, devi realmente credere nel tuo comportamento. Se pensi a coltivare un atteggiamento da hacker giusto per essere accettato nella hacker-culture, allora non hai capito. Diventare il tipo di persona che crede in queste cose, è importante per te per aiutarti ad imparare e per avere delle motivazioni. Come con tutte le arti creative, la via più efficace per diventare un maestro è imitare al forma mentis dei maestri – non solo intellettualmente ma anche emotivamente.
Ebbene, se vuoi essere un hacker ripeti le cose seguenti fino a che non le credi veramente:
1 . Il mondo è pieno di problemi affascinanti che aspettano di essere risolti
Essere un hacker è molto divertente, ma è un tipo di divertimento che richiede molto sforzo. Lo sforzo necessita di motivazioni. Gli atleti di successo trovano le loro motivazioni da una specie di gusto nell’usare i loro corpi oltre i limiti del fisico. Similmente, per essere un hacker devi provare i brividi nel risolvere problemi, affilare le tue capacità, ed esercitare la tua intelligenza. Se non sei il tipo di persona che per natura prova queste sensazioni, allora dovrai diventarci, se vuoi farcela ad essere un hacker. Altrimenti vedrai che le energie spese per fare l’hacker saranno fiaccate da distrazioni come il sesso, i soldi e l’essere riconosciuti nella società. Inoltre devi anche sviluppare una specie di fede nelle tue capacità di apprendimento, una fede grazie alla quale, pur non conoscendo tutto ciò di cui hai bisogno per risolvere un problema, affrontandone una parte sarai capace imparare abbastanza per risolvere la parte successiva… e così via, fino a che ce la fai).
2. Nessuno dovrebbe mai risolvere lo stesso problema una seconda volta
Le menti creative sono una risorsa valida e limitata. Esse non dovrebbero essere sprecate nel reinventare la ruota quando ci sono così tanti e affascinanti problemi che aspettano là fuori. Per comportarsi come un hacker, devi credere che il tempo che gli altri hacker spendono a pensare sia prezioso – a tal punto che è quasi un dovere morale condividere informazioni, risolvere problemi e diffonderne la soluzione cosicché gli altri hacker possono risolvere nuovi problemi invece di dover riaffrontare perpetuamente quelli vecchi. Non devi credere di essere obbligato a dare via tutti i tuoi prodotti creativi, sebbene gli hacker che lo fanno siano quelli che sono più rispettati dagli altri. È coerente coi valori dell’hacker “vendere” un po’ del suo prodotto per riuscire a sbarcare il lunario ed avere un computer. È coerente pure usare le proprie capacità per mantenere una famiglia o addirittura diventare ricchi, fermo restando che non devi mai dimenticare di essere un hacker mentre lo fai.
3. La noia e i lavori “da sgobboni” sono un male
Gli hacker (ed in generale le persone creative) non dovrebbero mai annoiarsi o aver a che fare con dei lavori ripetitivi, faticosi e stupidi, perché quando questo accade significa che non stanno facendo ciò che solo loro possono fare: risolvere nuovi problemi. Questo spreco danneggia tutti. Perciò la noia ed i lavori ingrati non sono semplicemente sgradevoli, ma un male vero e proprio. Per comportarti come un hacker, devi crederci abbastanza da voler automatizzare tutte le cianfrusaglie noiose il più possibile, non solo per te ma per qualsiasi altra persona (in particolar modo gli altri hacker). Apparentemente c’è solo un eccezione. Gli hacker dovranno fare talvolta cose che possono sembrare ripetitive ad un osservatore, ma che servono per chiarire le idee, per acquisire delle nuove capacità o per fare delle esperienze che non possono essere fatte altrimenti. Tuttavia questa è una tua scelta – nessuno capace di pensare dovrebbe essere mai forzato alla noia).
4. La libertà è un bene
Gli hacker sono per natura anti-autoritari. Chiunque ha il potere di darti ordini ha pure il potere di fermarti dal risolvere un qualsiasi problema da cui sei affascinato – e, conoscendo in che modo lavorano le menti autoritarie, in linea di massima troverà una ragione incredibilmente stupida per farlo. Quindi un atteggiamento autoritario deve essere combattuto ovunque si trovi, per paura che soffochi te e gli altri hacker. Questo, però, non significa combattere tutte le autorità. I bambini hanno bisogno di essere guidati e i criminali corretti. Un hacker potrebbe essere d’accordo nell’accettare un qualche tipo di autorità per ottenere qualcosa che desidera di più del tempo che impiega ad eseguire gli ordini. Ma questo è un compromesso limitato e di cui si è coscienti; il tipo di persona arrendevole che gli autoritari desiderano non deve venir offerta). Gli autoritari si sviluppano grazie alla censura ed ai segreti. Essi non confidano nella cooperazione volontaria e nella condivisione di informazioni – a loro piace la cooperazione che possono controllare. Quindi per comportarti come un hacker, devi sviluppare un ostilità istintiva verso la censura, la segretezza, e l’uso della forza e dell’inganno per costringere gli adulti responsabili. E devi essere disposto ad agire in base a questo credo.
5. L’atteggiamento non sostituisce la competenza
Per essere un hacker devi sviluppare alcuni di questi atteggiamenti. Ma coltivarne uno solo non ti renderà certo un hacker, non più di quanto ti possa rendere un grande atleta od una rock star. Per diventare un hacker c’è bisogno dell’intelligenza, la pratica, di dedicarsi ed infine di lavorare sodo. Quindi devi imparare a non fidarti di un atteggiamento competente di qualsiasi tipo. Gli hacker di certo non perderanno tempo con chi si spara le pose, poiché hanno il culto della competenza – soprattutto competenza nell’hacking, ma va bene la competenza in qualsiasi cosa. In particolar modo è ottima una competenza in alcune capacità che pochi hanno, ancora meglio se sono capacità quali una mente brillante, astuzia e concentrazione. Se anche tu veneri la competenza, ti divertirai a svilupparla in te – e il lavoro duro e la dedizione diventeranno una specie di gioco intenso piuttosto che una noia. E questo è vitale per essere un hacker.
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